ODISSEO IN M9. Episodio 1 – Fuoco

-Che cazzo hai fatto?! Sta bruciando tutto!
Il calore che sentiva, quel calore strano era un intruso tra i freddi meccanismi motori della piccola e scura cittadella galleggiante: aveva scoperto da dove proveniva. Trovò Macro rannicchiato vicino ad un gomitolo di lingue di fuoco.
-Ho solo… Cercato di accendere un fuocherello per riscaldarci… Non pensavo…
-Fuocherello?!?! Questo è un fottuto incendio e si sta diffondendo ovunque!
Sta distruggendo la cittadella! Vorresti ritrovarti a nuotare nella Sostanza?
-Non… Non lo so. Come potrebbe essere?
Gli occhi di Macro erano persi nel vuoto, larghi dischi scuri che galleggiavano nei bulbi. Non si muoveva e pareva non avvertire ciò che intorno era la catastrofe imminente.
-Che ti prende? Ti sembra il momento di smettere di respirare?! Dobbiamo muoverci a spegnere ‘ste fiamme!
-Manca… Manca… Aria! Il sangue non…
Gaek prese il portasigarette dalla tasca ed estrasse uno spinello. Era il primo modo che gli era balenato in testa per fargli respirare aria pulita. Non era facile galleggiare nell’oceano di Sostanza, tra i detriti di una civiltà ormai deceduta. Senza una luce verso cui procedere, solo con metallici e gelidi ingranaggi a comporre una cittadella in cui vivere e navigare, da far funzionare per sopravvivere. Ogni molecola di ossigeno era insozzata dagli effluvi della Sostanza.

Gaek e Macro vivevano in quello stato da un periodo che ormai avevano smesso di calcolare. Ricordavano stralci di cosa fosse la terra prima di vedere solo derelitti di piattaforme naviganti e piccoli scogli giallastri? Sapevano cosa fosse il mare prima che tutto ciò che di liquido potevano percepire fosse solo un depurato di quella strana ed invitante sostanza color mostarda? Ciò che bevevano, ciò con cui si lavavano, ciò con cui coltivavano, cucinavano, disegnavano era un resto di ciò che li circondava, che li risparmiava e giocava con le loro menti… Era per quello che avevano scelto di utilizzare quel nome: era una sostanza tossica e allo stesso tempo assuefacente, era una sostanza essenziale per la loro sopravvivenza ma allo stesso tempo era la loro condanna a girovagare: ricopriva il mondo, lo aveva assorbito. Per un momento si convinsero fosse la Sostanza di cui era fatta la genesi dell’ Universo, deciso a cancellare la razza umana, si convinsero che Dio avesse quella forma e che volesse riappropriarsi del Creato…

-Ok, calma. Tira da questa! È l’erba medica. Aspira, cazzo, aspira!
-Devo… Devo alzarmi… Voglio berne un po’. Un sorso, solo per sciacquarmi la bocca. Voglio sentirne giusto un po’ il sapore, mi farà bene, lo sento… -Ignorava totalmente la canna accesa vicino alle sue labbra.
-Quanta ne hai bevuta oggi? Quanta?- chiese Gaek.
Era agitato e lo strattonava per cercare di farlo tornare in sé. Vide una minuscola goccia aranciastra scendere dalla cavità dell’occhio e rigargli una guancia, poi Macro disse:
-Oggi… Riesci davvero ancora a distinguere i giorni? Il giorno e la notte sono sempre dov’erano prima? Li vedi ancora alternarsi nelle luci e nelle tenebre? Sono così sfumati che ormai neanche riesco a distinguerli più, vedo solo un’impassibile coltre di Sostanza sopra di noi che filtra gocce di luce, come volesse ricordarci che oltre c’è ancora qualcosa, ma non per noi. Neanche so se il tempo ancora scorra: conto uno, due, tre, quattro secondi per convincermi esista. In questo paesaggio sempre uguale, in cui il cambiamento è dettato solo dai cocci di civiltà che galleggiano inermi, dove sono le montagne?! Voglio vedere un albero! Ogni tanto mi guardo in quello specchietto rosa che trovammo tempo fa in quella villa sommersa per metà. Vedo le rughe e le venature nere del mio viso. Crediamo di essere salvi dal veleno in questa cittadella ma ne siamo dipendenti, ci scorre dentro e probabilmente moriremo prima di trovar qualcosa che possa terminare questa specie di viaggio nel nulla! Ormai, neanche più so cosa cerchiamo. Neanche so più se esista ciò che cerchiamo. Aprì la bocca, esterrefatto. Gaek sapeva di aver di fronte Macro nella più delirante assuefazione, ma non poteva non ascoltarlo. L’incendio, la possibilità che il fuoco mettesse fine al viandare, lo fece esitare sul prendere in mano la situazione. L’aria era preziosa, quindi cominciò a respirare lentamente. In circolo c’era ancora la dose del mattino. Respiri profondi, minore afflusso di sangue al cervello. Sostanza ristagnante. Cominciava a risentirle. Crescendo d’intensità, nascendo in modo sommesso e impercettibile: vibrazioni in tutto il corpo, il cervello come in una gabbia piena di migliaia di persone urlanti e sbraitanti che sgomitavano tra i suoi neuroni. Fine dell’ assuefazione. Ora comincia la discesa. Lo sballo è particolare: sentivano come se potessero affondare in ogni superficie, se ogni cosa che gli stesse in prossimità fosse il giaciglio su cui trascorrere la vita: bastava concentrarsi su questo benessere e aspettare… Quando l’effetto calava cominciavano a non capire cosa aspettassero ma credevano che stesse per arrivare, quindi volevano farsi ancora prima che passasse l’effetto e si rendessero conto che nulla sarebbe arrivato. Farsi è come stare ad una stazione in cui al posto delle panchine ci sono i letti più comodi del mondo ma si sta attendendo la risposta al quesito dell’uovo, della gallina e del senso della vita nel mondo scendere coi tacchi alti e le giarrettiere dal prossimo treno. La sostanza che aiuta ad attutire il passaggio dallo sballo alla lucidità è la marjuana: il down è lento, cambia l’assuefazione e fa tornare lucidi in modo meno brusco e con meno paranoie.

Gaek adorava fumare quella roba, anche senza essersi sparato la Sostanza. Prima di tutta sta storia era semplicemente uno a cui piaceva un sacco di fumare, a quei tempi socialmente definibile come “fattone”. Passava giornate ad acculturarsi sugli effetti della Cannabis e derivati e scoprì che era capace di purificare l’aria dalle sostanza tossiche. Poco dopo la catastrofe tornarono alla sua mente quelle ricerche della Phytotech nel 1998 sul filtrorisanamento: studiarono la capacità di dieci piante e tra queste la cannabis di ripulire l’aria che assorbivano durante la fotosintesi per rilasciare ossigeno pulito. Si disse “se ha funzionato a Chernobyl, perché non dovrebbe ripulire anche l’aria qui dentro e nel nostro sangue?”. Ogni stanza di quell’enorme ingranaggio aveva un piccolo polmone verde che ripuliva l’aria è l’ossigeno emesso dalle bombole. Il vecchio mondo è finito, in quello nuovo l’erba ci salverà, pensava.
Prese la canna che aveva passato a Macro e la riaccese nel rogo.
-Come lo… Con cosa lo hai acceso?
-Banconote. È bastato qualche etto.
-Ah… Ok.

Per un momento entrambi si immobilizzarono. L’ansia Di Gaek svaniva man mano che la nuvola di fumo si espandeva per la stanza, bianca, cremosa. Macro era pietrificato, un gomitolo di incertezza sotto una coperta con solo lo spinello, qualche ciocca di capelli e la punta del naso distinguibili dalla lana. Ardevano nelle fiamme gli ultimi pezzi utili per riscaldarsi, se non fossero riusciti a ricordare il numero della cassaforte. Gaek odiava i numeri, Macro doversi ricordare le cose a memoria: scuse da fumatori, si schernivano a vicenda. A cosa gli servivano ormai quelle banconote? Stracci di carta ormai senza valore che un tempo erano il sangue della società, che tutti pensavano un giorno avrebbero dato valore anche all’aria che tutti respiravano: oggi li bruciavano per accendere la macchinetta del caffè, anche se chiamare quel intruglio caffè era una grossa pretesa…

Gaek spense lo spinello e diede un taglio a quella situazione. Prese di peso Macro e lo trascinò nel corridoio. Chiuse la Sala Macchine e staccò la bombola dell’ossigeno che utilizzavano per respirare aria pulita in quello spazio. Prima o poi la mancanza di ossigeno avrebbe spento il fuoco, Macro si sarebbe alzato per la difficoltà a respirare sotto il Livello Zero Della Sostanza, in cui era situata la Sala Macchine. Macro si spostò in bagno e si accese un altro spinello, nudo nel vano doccia. Spense la canna dopo tre lunghi tiri e fece scorrere l’acqua della doccia. Ci si raggomitolò dentro. pioveva sulla sua schiena. Era senso di colpa, erano i postumi, era la stanchezza, era essere umano in mezzo a quella che sembrava la gialla morte della razza umana, il vagare nella nuova natura, disorientati. Gaek indossò la maschera antigas, montò il vaporizzatore nel filtro laterale e si spaparanzò in terrazza a guardare il nebbioso orizzonte. Era uno spettacolo sublime, si sentiva come l’uomo nel dipinto che avevano appeso ad una parete. Quell’uomo ben vestito, di spalle, col volto rivolto verso le nubi bianche ed i picchi montuosi che vi si tuffavano fuori. “Il viandante sul mare di nebbia”, di Frederick… Frieditch… Freddy… Vabbe quello, pensò tra se e se. Scrutavano entrambi una natura che li lasciava stupefatti. I detriti galleggianti e le nubi, la distesa gialla e gli aguzzi picchi montuosi. Morbida e cruda allo stesso tempo. Pacata e terrificante allo stesso modo. Accennò un sorriso sotto la maschera. Quel quadro l’avevano trovato in un attico in cima ad un grattacielo. Quell’attico insieme alla terrazza fuoriuscivano di pochi metri dal Livello Zero Della Sostanza. L’erba lo riportò in quel attico, in ciò che nel mondo sul fondale era chiamato “lusso”…

(CONTINUA…)

@ Kage

’80 sfumature di passato.

Da bambino guardavo ritorno al futuro, e non i pokemon, ascoltavo i Kool and The Gang, e non Fabri Fibra. L’impatto con la cultura che mi hanno trasmesso i miei genitori è stato devastante ma fenomenale. Titubavo si, ma quando mi si è aperto quel mondo davanti, beh, me ne sono innamorato. Musicalmente e forse anche concettualmente sono nato nell’epoca sbagliata. La mia, è l’anima intrappolata di Freddy Mercury, quella di David Bowie, quella degli Spandau Ballet, quella dei Simple Minds, quella dei Duran Duran, quella dei Dire Straits, quella dei Simply Red, quella degli Wham!, quella dei Pink Floyd, quella di Bruce Springsteen e tanti altri, che invano cerca di uscire dal 2015, cerca disperatamente di tornare nel 1985 a sorseggiare una Pepsi davanti a un videogioco di Pacman. Magari in un bar con jukebox per i 33 giri, 2mila lire ed ecco che ci sarà sempre un nuovo ballo. Magari in uno di quei bar dove si poteva ancora fumare dentro. Pacchetto di marlboro rosse da una parte, chiavi della Fiat Uno Turbo dall’altra. E di fronte i sorrisi, gli scherzi e le risate degli amici. I miei migliori amici. Senza dimenticare tutti gli eccessi degli anni 80, dalle esagerazioni di Boy George alla compostezza di Tony Headley, passando per la chitarra di Clapton e la voce di Michael Jackson. Le auto turbo, le innovazioni stravaganti come il telefono cellulare, le acconciature colorate degli anni ’80 non hanno un prezzo. Gli anni in cui l’Italia vinse il mondiale in Spagna (’82), gli anni in cui non esisteva il casco, non esisteva l’iPhone, non esisteva la Playstation, ma esisteva solo la vespa, per scappare, viaggiare, amare. Gli anni in cui nelle spiagge l’estate bastava un pallone per organizzare il proprio mondiale, per diventare anche solo per qualche ora “il Cabrini, il Tardelli, il Paolo Rossi” ed esultare emulando i propri idoli. Gli anni ’80 ci hanno trasmesso questo, eccessi, passioni, musica, la voglia di spingersi oltre, di raggiungere gli idoli. Perché scrivo tutto questo? Perché chi non vorrebbe essere Marty McFly? Magari in sella ad una vespa fumando un’altra marlboro rossa, magari andando a vedere Italia – Brasile al bar con gli amici. Io vorrei tutto questo. O forse l’avrei voluto.
Quando qualcuno inventerà la macchina del tempo andrò a vivere negli anni ’80. Ora non posso dire nient’altro. Posso immaginarli, ovviamente non avendoli vissuti,  posso solo constatare che se io non sono negli anni ’80, loro sono in me.

In fin dei conti non ce l’ho con la mia epoca musicale. Anzi a volte la adoro proprio.
Gli anni 2000 altro non sono che un eterno revival di quanto già stato detto in passato, la prosecuzione del discorso.
I nostri fratelli maggiori del resto hanno colto gli ultimi residui delle varie mode etichettate il più delle volte come “nu” qualcosa; un nuovo reazionario che non faceva paura ma che tranquillizzava e metteva a proprio agio chiunque fosse alla ricerca di una propria identità innescando gli effetti della degenerazione totale delle etichette.
Se il contesto dei primi anni 2000 era questo (qualunquismo mode on) che ben venga allora la voglia di contaminare e di sperimentare anche se ciò significa attaccarsi all’ispirazione di altri ed essere destinati a rimanere in un anonimato per privilegiati… Non è un problema.

Un tempo però era diverso, un tempo inventarsi qualcosa di nuovo non era un gioco

Gli anni ’80 aprono l’epoca postmoderna: i consumi si iscrivono nella sfera dei desideri e delle fantasie e non più in quello delle utilità. La nuova generazione vuole il sogno e lo vuole hic et nunc.
Il disagio però solitamente non è sotto la luce dei riflettori… nelle retrovie la situazione è ben diversa.

Sembra che un gigantesco “Ci siamo rotti il cazzo” esploda come un ordigno sulla faccia di chi nel grande comunicatore e nella dama di ferro (i NOFX li chiamerebbero Ronnie e Mags) ci aveva creduto e confidato. La realtà non è quella che pensate voi miei amici conservatori, noi siamo stanchi:
(https://www.youtube.com/watch?v=302oEzSPCqE)

La rivoluzione del costume degli anni ’80 parte dalla distruzione degli archetipi e l’hardcore con il suo incedere profano e nichilista sarà il capostipite delle (innumerevoli) avanguardie in tal senso: le canzoni erano brevissime, scarsissime nelle composizioni,veloci e iper-dirette nel loro essere così dannatamente minimaliste.

Una rivoluzione che dava l’idea a tutti di potersi approcciare senza timore reverenziale a un ondata di aria fresca che portava con se il rancido odore dei sobborghi in cui cresceva il malcontento giovanile, oppresso da un sistema [politico (repubblicano) e sociale] che si riversava in dei testi violentissimi che cercavano di riportare tutti quanti con i piedi per terra per far capire quale fosse la situazione.

I Minor Threat aprono la loro carriera con il miglior F# della storia.

Gli Adolescents buttano un album che è un continuo horror vacui traccia dopo traccia e che raggiunge la perfezione in un “I hate em all” tanto irripetibile quanto autoreferenziale.

I Black Flag spremeranno fino all’ultimo la loro creatura tra una dissonanza di Finn e un comizio di Rollins.

I Descendents uniscono tanta ignoranza e rabbia a un approccio più gioviale al genere che butterà le basi per tutto ciò che ci sarà nelle decadi a venire.

I 7 Seconds sono la testimonianza di come si possa prendere sul serio una certa cosa senza annullare la propria personalità ma continuando ossessivamente a preservare se stessi a servizio della fantasia e della creatività.

OK. Non serve fare una monografia del genere, non è questo lo scopo.
Parlare dell’hardcore si tratta di parlare di solo una facciata degli anni ’80, la più disagiata e approssimativa di sempre ma forse anche la più rivoluzionaria (si lo so mi sto ripetendo), un fenomeno relegato nell’underground che nasce e muore lì.
Poco importa se mancava il talento, l’unica cosa che importava era arrivare dritti al cuore riducendo tutto all’osso.

Anche oggi parlare di HC significa parlare di un’istituzione la cui eredità è stata fondamentale per gran parte della musica che verrà dopo e come detto all’inizio.

Forse un po’ mi dispiace non avere avuto i Black Flag, però ho avuto i Touchè Amore. Le cose sono cambiate, e i 30 anni di distanza si sentono tutti, ma l’anima è la stessa di sempre e il senso di sperimentazione non è poi così lontano.

                                                                        in fin dei conti Vabbenecosì.


                                                                         @Millstone & @Humanrich