’80 sfumature di passato.

Da bambino guardavo ritorno al futuro, e non i pokemon, ascoltavo i Kool and The Gang, e non Fabri Fibra. L’impatto con la cultura che mi hanno trasmesso i miei genitori è stato devastante ma fenomenale. Titubavo si, ma quando mi si è aperto quel mondo davanti, beh, me ne sono innamorato. Musicalmente e forse anche concettualmente sono nato nell’epoca sbagliata. La mia, è l’anima intrappolata di Freddy Mercury, quella di David Bowie, quella degli Spandau Ballet, quella dei Simple Minds, quella dei Duran Duran, quella dei Dire Straits, quella dei Simply Red, quella degli Wham!, quella dei Pink Floyd, quella di Bruce Springsteen e tanti altri, che invano cerca di uscire dal 2015, cerca disperatamente di tornare nel 1985 a sorseggiare una Pepsi davanti a un videogioco di Pacman. Magari in un bar con jukebox per i 33 giri, 2mila lire ed ecco che ci sarà sempre un nuovo ballo. Magari in uno di quei bar dove si poteva ancora fumare dentro. Pacchetto di marlboro rosse da una parte, chiavi della Fiat Uno Turbo dall’altra. E di fronte i sorrisi, gli scherzi e le risate degli amici. I miei migliori amici. Senza dimenticare tutti gli eccessi degli anni 80, dalle esagerazioni di Boy George alla compostezza di Tony Headley, passando per la chitarra di Clapton e la voce di Michael Jackson. Le auto turbo, le innovazioni stravaganti come il telefono cellulare, le acconciature colorate degli anni ’80 non hanno un prezzo. Gli anni in cui l’Italia vinse il mondiale in Spagna (’82), gli anni in cui non esisteva il casco, non esisteva l’iPhone, non esisteva la Playstation, ma esisteva solo la vespa, per scappare, viaggiare, amare. Gli anni in cui nelle spiagge l’estate bastava un pallone per organizzare il proprio mondiale, per diventare anche solo per qualche ora “il Cabrini, il Tardelli, il Paolo Rossi” ed esultare emulando i propri idoli. Gli anni ’80 ci hanno trasmesso questo, eccessi, passioni, musica, la voglia di spingersi oltre, di raggiungere gli idoli. Perché scrivo tutto questo? Perché chi non vorrebbe essere Marty McFly? Magari in sella ad una vespa fumando un’altra marlboro rossa, magari andando a vedere Italia – Brasile al bar con gli amici. Io vorrei tutto questo. O forse l’avrei voluto.
Quando qualcuno inventerà la macchina del tempo andrò a vivere negli anni ’80. Ora non posso dire nient’altro. Posso immaginarli, ovviamente non avendoli vissuti,  posso solo constatare che se io non sono negli anni ’80, loro sono in me.

In fin dei conti non ce l’ho con la mia epoca musicale. Anzi a volte la adoro proprio.
Gli anni 2000 altro non sono che un eterno revival di quanto già stato detto in passato, la prosecuzione del discorso.
I nostri fratelli maggiori del resto hanno colto gli ultimi residui delle varie mode etichettate il più delle volte come “nu” qualcosa; un nuovo reazionario che non faceva paura ma che tranquillizzava e metteva a proprio agio chiunque fosse alla ricerca di una propria identità innescando gli effetti della degenerazione totale delle etichette.
Se il contesto dei primi anni 2000 era questo (qualunquismo mode on) che ben venga allora la voglia di contaminare e di sperimentare anche se ciò significa attaccarsi all’ispirazione di altri ed essere destinati a rimanere in un anonimato per privilegiati… Non è un problema.

Un tempo però era diverso, un tempo inventarsi qualcosa di nuovo non era un gioco

Gli anni ’80 aprono l’epoca postmoderna: i consumi si iscrivono nella sfera dei desideri e delle fantasie e non più in quello delle utilità. La nuova generazione vuole il sogno e lo vuole hic et nunc.
Il disagio però solitamente non è sotto la luce dei riflettori… nelle retrovie la situazione è ben diversa.

Sembra che un gigantesco “Ci siamo rotti il cazzo” esploda come un ordigno sulla faccia di chi nel grande comunicatore e nella dama di ferro (i NOFX li chiamerebbero Ronnie e Mags) ci aveva creduto e confidato. La realtà non è quella che pensate voi miei amici conservatori, noi siamo stanchi:
(https://www.youtube.com/watch?v=302oEzSPCqE)

La rivoluzione del costume degli anni ’80 parte dalla distruzione degli archetipi e l’hardcore con il suo incedere profano e nichilista sarà il capostipite delle (innumerevoli) avanguardie in tal senso: le canzoni erano brevissime, scarsissime nelle composizioni,veloci e iper-dirette nel loro essere così dannatamente minimaliste.

Una rivoluzione che dava l’idea a tutti di potersi approcciare senza timore reverenziale a un ondata di aria fresca che portava con se il rancido odore dei sobborghi in cui cresceva il malcontento giovanile, oppresso da un sistema [politico (repubblicano) e sociale] che si riversava in dei testi violentissimi che cercavano di riportare tutti quanti con i piedi per terra per far capire quale fosse la situazione.

I Minor Threat aprono la loro carriera con il miglior F# della storia.

Gli Adolescents buttano un album che è un continuo horror vacui traccia dopo traccia e che raggiunge la perfezione in un “I hate em all” tanto irripetibile quanto autoreferenziale.

I Black Flag spremeranno fino all’ultimo la loro creatura tra una dissonanza di Finn e un comizio di Rollins.

I Descendents uniscono tanta ignoranza e rabbia a un approccio più gioviale al genere che butterà le basi per tutto ciò che ci sarà nelle decadi a venire.

I 7 Seconds sono la testimonianza di come si possa prendere sul serio una certa cosa senza annullare la propria personalità ma continuando ossessivamente a preservare se stessi a servizio della fantasia e della creatività.

OK. Non serve fare una monografia del genere, non è questo lo scopo.
Parlare dell’hardcore si tratta di parlare di solo una facciata degli anni ’80, la più disagiata e approssimativa di sempre ma forse anche la più rivoluzionaria (si lo so mi sto ripetendo), un fenomeno relegato nell’underground che nasce e muore lì.
Poco importa se mancava il talento, l’unica cosa che importava era arrivare dritti al cuore riducendo tutto all’osso.

Anche oggi parlare di HC significa parlare di un’istituzione la cui eredità è stata fondamentale per gran parte della musica che verrà dopo e come detto all’inizio.

Forse un po’ mi dispiace non avere avuto i Black Flag, però ho avuto i Touchè Amore. Le cose sono cambiate, e i 30 anni di distanza si sentono tutti, ma l’anima è la stessa di sempre e il senso di sperimentazione non è poi così lontano.

                                                                        in fin dei conti Vabbenecosì.


                                                                         @Millstone & @Humanrich