21 Tyson (Ad un mito).

img_0280Credo non sia cosa da tutti essere così a proprio agio e spontanei sul beat da fare in modo che le rime sembrino fare un proprio viaggio di contenuti e incastri: sei in treno, in auto o in autobus ed hai un viaggio fuori dai finestrini, uno sotto il sedere, sui binari o sull’asfalto e uno nell’etere, dove il suono si diffonde tra il vuoto, le orecchie e lo spirito e intanto con quelle parole riesci anche ad immaginarti affrontare ogni situazione che ti possa capitare. Questa sensazione è esattamente quella che ti porta a stare con il prurito alle mani ed a pensare che quell’energia vuoi ti sia trasmessa dal vivo. Devi fare di tutto perché la stessa dopamina che ti fa rilasciare la musica del tuo artista preferito ti venga spacciata a pochi metri di distanza fisica, tra palco e folla, respirando la sua stessa aria intrisa di fumo e sudore.

Allora apri internet, digiti nomi e luoghi sperando che suoni nei prossimi mesi a non più di quattro o cinque ore da casa o perlomeno a non più di una trentina di euro di biglietto. Poi tra i risultati di Google spunta una data, la imprimi fissa nel cervello, inizi a fare calcoli sul budget che neanche la Legge di Stabilità: gli spostamenti, l’ingresso, il vitto, l’erba, gli imprevisti, va cercata la compagnia giusta, in quel periodo hai esami/matrimoni/comunioni/competizioni/impegni vari- Oh, cazzo! Ti rendi conto che questa volta sei tua madre nel ’94 con i Nirvana di Cobain, lo zio nel ’70 con Hendrix o la compagna di classe nel 2009 con Michael Jackson…

Pochi giorni fa, esattamente nella notte tra l’ultimo dell’anno del duemilaquindici e il primo dell’anno seguente, Primo Brown si è spento in ospedale, sconfitto dalla malattia con cui combatteva già da un anno. Lo aveva colpito poco dopo l’uscita del suo album in collaborazione con Yoshi aka Tormento, El Micro De Oro costringendolo a lasciare il tour e la scena.

Ci ho messo più di ventiquattro ore a realizzare che David non fosse più su questo pianeta. Guardo a ripetizione i suoi video, pensando tra una rima e l’altra che non lo incontrerò mai e che ora questa persona non scrive più Mine su questo piano dell’esistenza…

È come quando sentì parlare in un film qualcuno che sai passato a miglior vita, quindi sai che tutto ciò che quella persona lascia sono quelle parole, quelle immagini di se, le emozioni che fa fluire attraverso te. La differenza è che l’energia che scorre in una canzone, tra kick, bassi e versi, non ha paragoni.

Ascoltare Primo oggi, una manciata di giorno dopo la sua dipartita ha un valore più trascendentale: è sentire la stessa energia che ti fa vibrare lo stomaco, quando quell’incastro o quella rima riescono a raccontare le mille storie che hai dentro ma con l’aggiunta di una sorta di brivido capace farti sentire la voce come parlasse da un altro piano astrale.

Credo sia l’esatto momento in cui un artista comincia a vivere nelle vibrazioni dei suoi suoni, quindi assorbendo e riproducendo vita attraverso le anime di chi lo ascolta.

L’odio per ferragosto diventa eco immortale, il ‘mestiere qualunque dettato dal destino’ diventa storia sempre presente, quel suono sempre grezzo diviene il tempio in cui Primo Brown continua a battere sul tempo in eterno, dove ognuno può andare per cercare consolazione, parlando con lui, con le sue parole, nelle sue strofe.

No, con la morte non si scherza diceva lui. Che senso ha tutto se la vita è giostrarsi in un eterno Carnevale di Venezia, in cui farsi il culo per una vita e dare 5000 euro al cimitero? Per cosa poi?Per trovarsi a lottare “Cor veleno ‘ncorpo” fino all ultimo respiro, a sputare in faccia ai parassiti, quelli che cercano di insinuarti l’ansia e l’incertezza quando cerchi di tirare fuori l’estro per dare al tuo tempo su questa palla di terra un senso: fare la propria arte.

Alla fine fino a ieri a chiunque stesse nell’hip hop bastava una rima o una jam; ora tocca andare in Major e farli anche a pezzi quelli che hanno ucciso il rap sulla neve, gli “Alberto Tomba”… Ma tanto, qua cantano tutti…

Alla fine ognuno nel proprio ha trovato con Primo Brown quel momento di sfogo in cui un ‘vaffanculo’ o un ‘porcoddio’ assumevano una carica di sfogo ed erano insostituibili anche musicalmente parlando.

Ora che sei dove sei, vedremo crescere le piante, rifare l’asfalto sotto casa. Ci romperemo la testa quando l’alzeremo, cercando i fiori del cielo di cui avevi buttato i semi, o magari leggeremo nelle nuvole i segnali di fumo che ci mandi. Continueremo ad andare avanti, a mantenere il punto sulle cose vere, a concederci qualche giorno per stare un po’ cronici e ci ricorderemo sempre che nella vita ci sono i figli delle banconote clonate che ci mettono sassi sulle rotaie, che ci vogliono sistemare con una cagna e un funerale, lì allora penseremo che bisogna continuare a “spigne” perché con tutta sta scena, non tutti so d’accordo, vaffanculo!
Ti scrivo queste parole con una tristezza ed un nervosismo da fase premestruale e tutti da quaggiù ti dedichiamo il nostro “ciao”, noi che stiamo bene ad ascoltarti con le casse alte.

Ciao, David.

Ciao, Leggenda.

 

 

Non vive ei forse anche sotterra, quando

gli sarà muta l’armonia del giorno,

se può destarla con soavi cure

nella mente de’ suoi? Celeste è questa

corrispondenza d’amorosi sensi,

celeste dote è negli umani; e spesso

per lei si vive con l’amico estinto

e l’estinto con noi [..] ne suoi versi.”
Ugo Foscolo- Dei Sepolcri.

 

PS: in questo articolo i fan riconosceranno continue citazioni dei pezzi di Primo e dei Corveleno, gli altri se le vadano un po’ a cercare.

 

@ Kage

Contact (Gate to the wonder).

(Oh, metti le cuffiette,metti in play questo  e inizia a leggere)

 

Per caso,

riuscii a vedere

cosa i suoi occhi nascondevano

sotto le sempiterne lenti scure

 

mentre allo specchio,

in bagno,

si analizzava

il pizzetto.

 

Ciò che vi riempie

di meraviglia

quando alzate gli occhi

all’infinito stellato,

di notte

 

occupa le sue orbite,

mi ci persi cercando

le costellazioni.

 

Si tagliò con la

lametta da barba,

mentre lo spiavo;

dalla ferita

sgorgava una patina

luminosa in cui galleggiavano

ciò che sembravano

essere stelle

 

come se nelle sue venerdì

riposassero nebulose.

 

L’etere, l’essenza del vuoto

riempiva quella stanza,

respiravo aria dolce

ed i suoni anche minimi

generavano

echi eterni;

 

nella pura estasi

caddi

fluttuai fino al pavimento

spalancando la porta

 

e facendo accorgere

della mia presenza.

 

Si avvicinò.

Io ero già dentro i suoi occhi:

quante volte ti capita

                                   di vedere le stelle

                                                                       le galassie

                                                                                              le orbite dell’universo

 

in un paio d’orbite oculari?

 

 

 

Era un tipo taciturno,

di lui sapevo lo stretto indispensabile

perché accettassi cge fosse nella vita di mia sorella;

 

capivo ora perché lei

mi raccontasse di come lui

la portasse via dall’immaginabile

e con uno sguardo le regalasse l’universo

 

mi raccontò della sua

solitudine,

dell’incomunicabilità delle sue

parole,

dei suoi sinfonici silenzi.

Nel momento in cui

lo ebbi dinanzi,

chino su di me

a tendermi la mano

 

sentii la compassione

sua perché non potevo vedere

mia perché sapevo che lui

ci temeva.

 

Lui, che sotto la pelle nascondeva

lo sconfinato esistente

oltre il nostro cielo

aveva paura

di noi

che celavamo solo carne

sangue ed ignoranza

agli occhi del prossimo.

 

Tesi la mano,

egli la oltrepassò

e raggiunse

il mio petto

con il palmo

della sua.

 

Fu come camminare

sulla striscia argentea

che la luna piena

dona al mare

e poi ascendervi

laddove

si incontrano le correnti:

 

in quell’istante

ogni forma sembrò

goccia in mare

ed ogni cosa più piccola

raccontava amore

come un bimbo

in grembo alla madre,

 

in quell’istante

io fui la natura,

fui il vuoto luminescente,

fui l’universo indecifrabile,

fui il silenzio,

 

in quel momento

fui anche te.          

 

@Kage

                                        

 

’80 sfumature di passato.

Da bambino guardavo ritorno al futuro, e non i pokemon, ascoltavo i Kool and The Gang, e non Fabri Fibra. L’impatto con la cultura che mi hanno trasmesso i miei genitori è stato devastante ma fenomenale. Titubavo si, ma quando mi si è aperto quel mondo davanti, beh, me ne sono innamorato. Musicalmente e forse anche concettualmente sono nato nell’epoca sbagliata. La mia, è l’anima intrappolata di Freddy Mercury, quella di David Bowie, quella degli Spandau Ballet, quella dei Simple Minds, quella dei Duran Duran, quella dei Dire Straits, quella dei Simply Red, quella degli Wham!, quella dei Pink Floyd, quella di Bruce Springsteen e tanti altri, che invano cerca di uscire dal 2015, cerca disperatamente di tornare nel 1985 a sorseggiare una Pepsi davanti a un videogioco di Pacman. Magari in un bar con jukebox per i 33 giri, 2mila lire ed ecco che ci sarà sempre un nuovo ballo. Magari in uno di quei bar dove si poteva ancora fumare dentro. Pacchetto di marlboro rosse da una parte, chiavi della Fiat Uno Turbo dall’altra. E di fronte i sorrisi, gli scherzi e le risate degli amici. I miei migliori amici. Senza dimenticare tutti gli eccessi degli anni 80, dalle esagerazioni di Boy George alla compostezza di Tony Headley, passando per la chitarra di Clapton e la voce di Michael Jackson. Le auto turbo, le innovazioni stravaganti come il telefono cellulare, le acconciature colorate degli anni ’80 non hanno un prezzo. Gli anni in cui l’Italia vinse il mondiale in Spagna (’82), gli anni in cui non esisteva il casco, non esisteva l’iPhone, non esisteva la Playstation, ma esisteva solo la vespa, per scappare, viaggiare, amare. Gli anni in cui nelle spiagge l’estate bastava un pallone per organizzare il proprio mondiale, per diventare anche solo per qualche ora “il Cabrini, il Tardelli, il Paolo Rossi” ed esultare emulando i propri idoli. Gli anni ’80 ci hanno trasmesso questo, eccessi, passioni, musica, la voglia di spingersi oltre, di raggiungere gli idoli. Perché scrivo tutto questo? Perché chi non vorrebbe essere Marty McFly? Magari in sella ad una vespa fumando un’altra marlboro rossa, magari andando a vedere Italia – Brasile al bar con gli amici. Io vorrei tutto questo. O forse l’avrei voluto.
Quando qualcuno inventerà la macchina del tempo andrò a vivere negli anni ’80. Ora non posso dire nient’altro. Posso immaginarli, ovviamente non avendoli vissuti,  posso solo constatare che se io non sono negli anni ’80, loro sono in me.

In fin dei conti non ce l’ho con la mia epoca musicale. Anzi a volte la adoro proprio.
Gli anni 2000 altro non sono che un eterno revival di quanto già stato detto in passato, la prosecuzione del discorso.
I nostri fratelli maggiori del resto hanno colto gli ultimi residui delle varie mode etichettate il più delle volte come “nu” qualcosa; un nuovo reazionario che non faceva paura ma che tranquillizzava e metteva a proprio agio chiunque fosse alla ricerca di una propria identità innescando gli effetti della degenerazione totale delle etichette.
Se il contesto dei primi anni 2000 era questo (qualunquismo mode on) che ben venga allora la voglia di contaminare e di sperimentare anche se ciò significa attaccarsi all’ispirazione di altri ed essere destinati a rimanere in un anonimato per privilegiati… Non è un problema.

Un tempo però era diverso, un tempo inventarsi qualcosa di nuovo non era un gioco

Gli anni ’80 aprono l’epoca postmoderna: i consumi si iscrivono nella sfera dei desideri e delle fantasie e non più in quello delle utilità. La nuova generazione vuole il sogno e lo vuole hic et nunc.
Il disagio però solitamente non è sotto la luce dei riflettori… nelle retrovie la situazione è ben diversa.

Sembra che un gigantesco “Ci siamo rotti il cazzo” esploda come un ordigno sulla faccia di chi nel grande comunicatore e nella dama di ferro (i NOFX li chiamerebbero Ronnie e Mags) ci aveva creduto e confidato. La realtà non è quella che pensate voi miei amici conservatori, noi siamo stanchi:
(https://www.youtube.com/watch?v=302oEzSPCqE)

La rivoluzione del costume degli anni ’80 parte dalla distruzione degli archetipi e l’hardcore con il suo incedere profano e nichilista sarà il capostipite delle (innumerevoli) avanguardie in tal senso: le canzoni erano brevissime, scarsissime nelle composizioni,veloci e iper-dirette nel loro essere così dannatamente minimaliste.

Una rivoluzione che dava l’idea a tutti di potersi approcciare senza timore reverenziale a un ondata di aria fresca che portava con se il rancido odore dei sobborghi in cui cresceva il malcontento giovanile, oppresso da un sistema [politico (repubblicano) e sociale] che si riversava in dei testi violentissimi che cercavano di riportare tutti quanti con i piedi per terra per far capire quale fosse la situazione.

I Minor Threat aprono la loro carriera con il miglior F# della storia.

Gli Adolescents buttano un album che è un continuo horror vacui traccia dopo traccia e che raggiunge la perfezione in un “I hate em all” tanto irripetibile quanto autoreferenziale.

I Black Flag spremeranno fino all’ultimo la loro creatura tra una dissonanza di Finn e un comizio di Rollins.

I Descendents uniscono tanta ignoranza e rabbia a un approccio più gioviale al genere che butterà le basi per tutto ciò che ci sarà nelle decadi a venire.

I 7 Seconds sono la testimonianza di come si possa prendere sul serio una certa cosa senza annullare la propria personalità ma continuando ossessivamente a preservare se stessi a servizio della fantasia e della creatività.

OK. Non serve fare una monografia del genere, non è questo lo scopo.
Parlare dell’hardcore si tratta di parlare di solo una facciata degli anni ’80, la più disagiata e approssimativa di sempre ma forse anche la più rivoluzionaria (si lo so mi sto ripetendo), un fenomeno relegato nell’underground che nasce e muore lì.
Poco importa se mancava il talento, l’unica cosa che importava era arrivare dritti al cuore riducendo tutto all’osso.

Anche oggi parlare di HC significa parlare di un’istituzione la cui eredità è stata fondamentale per gran parte della musica che verrà dopo e come detto all’inizio.

Forse un po’ mi dispiace non avere avuto i Black Flag, però ho avuto i Touchè Amore. Le cose sono cambiate, e i 30 anni di distanza si sentono tutti, ma l’anima è la stessa di sempre e il senso di sperimentazione non è poi così lontano.

                                                                        in fin dei conti Vabbenecosì.


                                                                         @Millstone & @Humanrich

Sabato sera con le calze smagliate.

Bottiglie rotte, occhi lucidi, camicie a quadri.

Scendete anche voi in città da quel che vedo, scendete anche voi nel precipizio che puzza di birra e fa venire il prurito alla schiena. Non potete dirmi di no, io vi ho visto! Sabato sera eravate tutti lì, in gruppetti, comitive, le famose comitive di cui a volte vi fate scudo, e altre volte infangate con uno sputo. Eravate ben disposti, devo dire la verità: tutti in fila, in cerchio, a rombo, mani sulle spalle, sorrisi infiocchettati, a braccetto, col braccialetto dell’amicizia. Mi piaceva osservarvi:

C’è un gruppo di donne under 16 con le calze smagliate, ma non importa, ora è trendy.
Vaglielo a dire a quell’altro gruppetto di ragazzine. Over 40 stavolta. Corrono sui tacchi per raggiungere in fretta la macchina, nascondendo una loro amica con un cappotto lungo nero, che ha vergogna di indossare una calza smagliata.

Una mandria di persone si offre la birra a vicenda, cin cin, alla salute, la tua, la mia, la nostra.
-“oh! Cazzo, ti ho sporcato la scarpa, vabe’ è schiuma, si leva”.
– Ma che dici, me la da quella, se le offro un cicchettino?
“Magari si, magari no, offrile la tequila, magari si ubriaca”

A volte mi stanco ad osservare però, anche perché è difficile poter scrivere e memorizzare tutto, come ad esempio la scena in cui la ragazza a cui si era rotto il braccialetto, girava chinata come una gallina, alzando i piedi a tutti, per trovare tutti i pezzi, ormai finiti chissà dove.

Oppure il ragazzo che aveva una camicia jeans, ed il suo sesto bottone era sbottonato, ma nessuno ci aveva fatto caso.
E quello che scriveva un tweet buttato sulla macchina parcheggiata? Non l’avete visto? Ho letto solo che usava l’hashtag #Sabato quindi o parlava della sua serata, o della nuova canzone di Jovanotti.
Dovete star attenti ai particolari, ma non perché lo dico io, o perché vi fa brillanti, ma soltanto perché i particolari fanno parte dei luoghi comuni che vi piacciono tanto, e a volte li trasformano in luoghi un po’ meno comuni. Diciamo fuori dal comune, un po’ come il nostro caro Sindaco.

Comunque continuando la serata, perché ovviamente non era assolutamente terminata dopo il tweet riassuntivo o il sesto bottone sbottonato, allontanandomi dal fulcro della febbre del sabato sera, dove anche se entri sano, esci malato, mi ritrovo in un ring. Un vero e proprio ring di kickbox.
Al bar una coppia, seduta al tavolo (ancora per poco) discuteva, non animatamente (ancora per poco).
Io passo in fretta, saluto due persone al volo, sto volando, dopo mezzanotte e mezza volo, prima con la testa, e poi con le ali sulle scarpe, come Ermes.
Io infilo il cappuccio, passo svelto.
Lei si alza dal tavolo, infila il giubbino, e scaraventa il bicchiere verso di lui, il tutto accompagnato da un bel “Vaffanculo”. Scavalca le fioriere del bar, e se ne va, lasciandolo seduto al bar, come un imbecille, e tutte le persone intorno che gli gridano “Auguri!” senza un motivo apparente.
Non nascondo il sorriso che ho fatto.

Come hai potuto tradirmi? - Ma hai le calze smagliate!

Come hai potuto tradirmi?
– Ma hai le calze smagliate!

Non so come sia andato a finire il sabato sera, né per lui, né per lei, né per il barista che ha dovuto raccogliere il bicchiere rotto. Né per te che ora mi stai leggendo e forse mi credi un cretino, che forse s’inventa tutto, o forse non s’inventa niente.
O forse scrive senza dare un senso scontato a ciò che dice. Devi leggermi tra le righe.
E morale della favola, come sempre non c’è, ma prendo l’agendina, rivivo la scena e scrivo:

“stasera ci saranno persone che andranno a letto con qualcuno,
altre senza qualcuno,
altre ancora saranno quel qualcuno;
spero solo che non abbiano le calze smagliate”.

@Pierframes

Buena suerte UBiK! Ma visto che ci siamo, ne approfittiamo.

Allora Ubik,
ti stiamo scrivendo una lettera di saluti. Sappiamo che non stai morendo, anzi non lo sappiamo che non stai morendo dato che devi partire in aereo, ma comunque l’aereo è più sicuro della vecchia Renault Clio su cui ci imbarcavamo (con tanto di vaschetta Sammontana svuota-abitacolo per le pozzanghere interne) verso improbabili e sperdute feste e festini anche di mercoledì sera, cosa che alla madre del sottoscritto allora sedicenne non faceva piacere. “Eh mamma: stavo con V******!”

 Ti dobbiamo scrivere una lettera per il fatto che parti, ce lo obbliga il nostro stomaco, ma con i saluti non siamo bravi. Pensandoci, una lettera di saluti è inutile dal momento in cui resteremo in contatto via whatsapp, continuerai a pubblicare articoli anche da dove sarai, non stai ancora morendo e tra sei mesi sarai di nuovo qua, per tua (s)fortuna. Magari potremmo salutarti per far credere a chi legge che stai andando a fare il volontario in Nigeria per difendere le genti da Boko Haram, ma sarebbe poco credibile perché in Nigeria non prende il 3G e non sappiamo realmente quanto ti interessi salvare i bimbi nigeriani (razzista di merda!).

Per questo motivo vorremmo lasciarti una lista di cose che troverai diverse quando sarai tornato dall’esilio a cui ti hanno condannato per vilipendio al Comune per il tuo articolo contro la vittoria di Rocco Hunt a Sanremo  (anche questa come storia sarebbe forte!).

1- Al Bogart, al Vittoria e al Prince sarà legalizzata la vendita di Rufis per poter permettere alle ragazzine di prostituirsi senza avere sensi di colpa e per i maschi ci sarà un’iva sul biglietto sullo sperma che verseranno (qualora avessero raggiunto almeno la pubertà) nei bagni del locale stesso per prevenire lo spreco di risorse umane.

2- Per risolvere il problema del trasporto pubblico, Pontecagnano verrà dotata di un’università che sarà costruita come la facoltà di Fisciano ma in miniatura e sarà finanziata dallo spaccio di hashish di piazza.

2bis– Pontecagnano sul mercato dell’hashish entrerà in guerra con i marocchini ma con un paio di sparatorie e accoltellamenti,  si aggiudicherà il primato sullo spaccio, sulla distribuzione mondiale e sulla produzione perché “nuj simm’ ‘cchiù malament” (dichiarazione del nuovo sindaco di Pontecagnano Mario Sparammocc, più volte accusato di associazione a delinq- no questo non lo posso dire…)

3- Il sindaco Vincenzo De Luca sarà fuggito nell’entroterra napoletano per riunire i discendenti delle antiche aristocrazie del Regno delle Due Sicilie e convincerle ad una secessione per rifondare una monarchia con a capo se stesso. Il suo primo progetto sarà fare in modo che Napoli abbia la forma circolare e la circumvesuviana sia perfettamente un cerchio. Il suo sogno è che dal Vesuvio escano zampilli d’acqua contornati da lucine, per un vulcano straordinario!. Dopodiché riprendere il progetto squadrista per epurare il suo nuovo Regno dai perizomi e dai cafoni.

4- Alle dimissioni di De Luca le elezioni vedrebbero la candidatura del Partito della Zallawallera di Mario Carità e Antonio Sacchetto, meglio conosciuti sul panorama musicale come Morfuco MC e Tonico70. Essi perderanno le elezioni contro la Sesto Senso che per prima cosa darà una festa dentro al comune con dress code: Cravatta, ventiquattrore e tailleur (omaggio assessori, segretarie e amici di amici della Terra di Mezzo). Il passo successivo, sarà quello di dare il voto a tutti gli under 18 e toglierlo a tutti gli over 20, dato che il futuro della società è dei giovani e loro devono cambiarla, ma non possono cambiarla senza divertirsi. Le leggi vanno stappate insieme! (citazione del documento d’intenti del partito scritto sotto la locandina di una serata di Carnevale).

5 – Per risolvere il problema del parcheggio, Salerno sarà rialzata di un paio di metri per potervi costruire un enorme parcheggio sotterraneo che percorra tutta la città (per citta si intende solo il centro).

5bis– La Zona Orientale, dopo un referendum popolare portato avanti dagli adolescenti gangstarapper della zona e firmato dai genitori (sono tutti minorenni), diventerà un ghetto in cui sarà autorizzato l’uso delle armi a pallini e il furto di motorini di cilindrata 50cc. Gli adolescenti, tuttavia, non riusciranno a fare della piazzetta BlockBuster una zona ad alto rischio di criminalità perché il pomeriggio avranno il doposcuola e alcuni di loro, secondo indiscrezioni, anche il catechismo. Non posso fare nomi per la mia sicurezza (abbiamo un motorino 50 e abbiamo paura dei gruppetti di quattordicenni coi cappellini che fanno brutto su youtube).

6- Le scale antincendio del Severi riceveranno uno Statuto Speciale dalla Regione Campania e diventeranno una vera e propria piazza di spaccio (con merci di prima qualità importate da Pontecagnano) e di prostituzione, per la posizione strategica all’interno del ghetto Z.O.

7- I licei De Sanctis e Tasso saranno dotati di uno speciale sistema di vigilanza e controllo davanti alle scuole. All’entrata verrà controllato lo zaino di ogni studente per assicurarsi che non contenga armi, la marca del suo giubotto e dei suoi pantaloni e che abbia almeno cinquanta euro nel portafogli, il tutto per evitare l’intrusione di esterni.

8- Nelle scuole verranno inserite nell’orario curriculare due ore settimanali in cui si insegnerà agli studenti come poter trovare un’alternativa al farsi una cultura e lavorare. Le indiscrezioni dicono che i primi corsi di aggiornamento per gli insegnanti che insegneranno questa materia prevedono l’utilizzo di youtube per diventarne fenomeni da baraccone, come diventare rapper in 10 semplici passi (il primo è comprare un cappellino) e la sintassi comunicativa analizzata sociologicamente di Ask.

9- No basta, abbiamo fatto i satirici fin troppo, per sicurezza abbiamo chiuso la cameretta a chiave. Non sia mai che qualche Jihadista abbia googlato “squeto.wordpress.com”  invece di cercare “Allah Akbar” e abbia letto tutto. Abbiamo anche comprato un sacco di penne Staedtler rosse cariche, ma dubitiamo ancora della loro efficienza e della loro ferocia contro un ipotetico kalashnikov.

defilippi_piangeE dunque, nostro caro UBiKiello, ritornando a te, sei arrivato a destinazione?
Ricorda che, chi il disagio se lo porta dentro, vive meglio. Buon viaggio, salutaci i bambini nigeriani, e Rocco Hunt. Oltre a noi due poveri scemi, ci sono altre persone che hanno voluto spendere
(ovviamente metaforicamente) due paroline per te:

Tuo fratello: ”E’ nu scem, ma ij ‘o vogl tropp bbbben, se per voi va bene, io vorrei organizzare un flashmob per lui, e dedicargli un po’ di freestyle insieme a mio fratello Samael all’Arbostella”– continuando –“Tutto l’istituto alberghiero di Salerno è con lui”

L’alberghiero: “In realtà non l’abbiamo mai visto, era rappresentante del Severi, mica nostro? ‘A nuje che ce n’ fott’”

Il Sindaco Vincenzo De Luca: “Un cafone coi fiocchi, e quel piercing che aveva sul sopracciglio, ma voi l’avete visto? E’ sicuramente stato lui ad imbrattare Salerno” –continuando- “Dopo tutti gli articoli che ha fatto contro Salierne, è come un figlio pe’ mme

Grazie a te, di nuovo. Buon viaggio, ancora.

                                                                          @ Kage  &  @ Pierframes

La passante.

La danza delle ombre e la polvere spinta
a guardare un po più in la dal vento, 
si svuota ogni suono
ed il tuo vestito che ondeggia ad ogni passo 
e la primavera
alle porte dei miei occhi mi suggerisce di non smettere di guardare.

Come spiegare quanto sia bella la luce che nasce nei suoi occhi,
che rispecchiano il cielo e a chi lo racconto che son quasi caduto
perché sentivo di vivere nel suo sguardo, che per sbaglio è inciampato nel mio
e dolcemente mi son lasciato annegare nel mare dei suoi occhi.
Avrei voluto vivere in quello sguardo infinito
per vedere oltre il cerchio della vita e ben oltre mille orizzonti,
pallide imitazioni del tuo sguardo che è padre dell infinito stesso.
Queste misere parole son per te e chi sa se le leggerai amor mio,
tu splendida donna che per la tua strada vai,
tu che non ti sei più girata verso di me,
tu chi sa se capirai mai o se solo di me ti ricorderai.

@ Coda di Lupo

Tonalità.

Sprofondavo. Sprofondavo cosi giù che il più verde dei prati sotto il più cocente dei soli di ferragosto sarebbe apparso nient’ altro che grigio. Non arriva luce. La luce sembra aver preso una chiara scelta, come viva, ha deciso d’esser morta per me. Una cosa che disgustava le persone intorno a me era sempre il mio vittimismo cosmico. Credevo che le forze sorrettrici della realtà avessero prescritto nel loro equilibrio la mia condanna, senza benedirmi con una veloce morte. Ad un certo punto arrivai a credere che questa estenuante maledizione si fosse semplicemente tramutata in donna, con tutto ciò che ne consegue… una vittima, alla fine solo vittima di se stesso: chi non lo è del resto? Chi riesce ad arrogarsi il titolo di persona che non subisce i propri limiti e le angherie dei propri impulsi? Chi forse sotto sotto non cerca di prendere ogni scelta solo per il proprio piacere personale, che questo scaturisca dalla gloria dell’aver aiutato cinquemila persone a viver meglio o semplicemente dall’aver stappato una bottiglia di vodka da sei litri nel privé di un locale? Non siamo tutti egoisti in fondo?
Credo piuttosto sia da accusare chi imprime alla ruota della fortuna che assegna i tipi di egoismo la forza per girare; credo sia da accusare chi benda la fortuna che mette il seme della natura del nostro essere.
Eppure forse, il vittimismo è proprio il nome eufemistico di chi è un egoista che non riesce a cacciare abbastanza coglioni per prendersi ciò che vuole, tanto da rileggere a suo piacimento le strutture metafisiche del cosmo, pur di dire che tutto l’universo ce l’ha con lui e con la sua felicità. Cosi lascia un post- it sulla porta per giustificarsi e comincia a sprofondare.
Qualcosa, forse io stesso, impediva al cervello di inviare input che potessero farmi muovere, farmi esplorare i pensieri che potevano accendere luci o far ripartire la circolazione sanguigna. Doveva esserci qualcosa che potesse riportarmi su, dove l’aria non era rarefatta, dove il mondo aveva forme e colori ben precisi.
Il telefono vibrava e vibrava e continuava a vibrare. Fuori da quella stanza qualcuno cercava me, cercava qualcosa di me o da me. Gli impegni battevano contro le pareti, restando fuori. Non è che non volessi rispondergli. Probabilmente in quello stato sarei stato capace solo di farfugliare senza neanche che il mio cervello fosse capace di collegarne il suono della voce al viso fino ad arrivare ad identificare la persona che era dall’altro capo del telefono. In fondo fuori poteva benissimo non esserci più nulla. Dal letto i vetri della porta-finestra emanavano una luce fioca bianca, come fossero opacizzati e dietro fosse posizionata una lastra di lucine bianche, regolate al punto giusto da creare poche ombre definite, solo macchie e fioco attorno.
Quando la luce diminuisce, le cose cominciano a perdere la loro tonalità; non sopportavo più quella che aveva pervaso la mia stanza. Quel colore quasi uniforme, in cui i toni si mescolavano fra di loro, sembravano amalgamarsi e vibrare, che da lontano tutto sembrasse avere ogni colore, cosi tanto da apparire solo grigiastro e confuso, che se troppo tempo restavi a guardarlo, la nausea ti assaliva.
Le mensole sentivo averle puntate contro al collo. I pupazzi dei fumetti mi fissavano, aspettavano una lacrima o qualcosa di cui parlare senza che io riuscissi a capirli. Erano loro le voci, no? Di chi sennò?!
Il raptus fu fulmineo. Balzai in piedi ancora bavoso e afferrai la porta-finestra spalancandola. Senza far caso ai palazzi di fronte, al mio cane che scavava nelle piante sul balcone, all’idillio di rondini, cieli azzurri pace nel mondo e fiorellini di quella luminosa domenica mattina che preferiva (o preferivo) star fuori dalla proiezione del mio macello emotivo formato stanzetta.
Presi la vernice rossa dall’armadietto degli attrezzi e con fare “vangoghiano” iniziai a colpire le pareti. Prima strisce, incrociate fra loro. Poi sempre più circolari fino a divenire spirali, poi macchie e in un momento la parete era diventata rossa, piena di croste di pittura e grumi ma rossa. In ancor meno tempo stava cominciando a diventare rossastra. Arancio sporco. Poi un misto tra il limone ed uno scarpone grigio.
Andai a prendere dei barattoli di vernice verde, almeno consapevole del fatto che sarei morto sia per aver fatto quello schifo nella mia stanza, sia per aver aver consumato la vernice che mamma stava usando per ridipingere il nuovo salotto ri-arredato con il suo compagno, Mister Mercedes…
Buttai direttamente tutta la pittura dal secchio alla parete. Nel mentre in cui ero andato a prendere il colore, il muro aveva ripreso a degenerare la sua cromatura in quella miscela confusa di colori che assomigliava al grigio e che già mi stava causando vomito mentre in essa cercavo il rosso che avevo appena spiaccicato sul muro, mentre stavo per lanciarvi sopra del verde pistacchio… verde alga. Verdognolo muschio. Marroncino. Legno marcio. Ecco di nuovo la morte del colore.
Inventavo dei nomi per le tonalità che assumeva il muro ma nulla poteva descrivere quello che accadeva. Il mondo nella mia testa stava perdendo di colore.
Le gambe cedettero, ebbi il terzo mancamento della giornata. Con il viso spalmato sul pavimento sembrò più facile porsi i consigli giusti, sarà che il dolore dello zigomo contro le fredde mattonelle sia stato una scintilla.
Ebbene le mie palpebre ripresero un ritmo più regolare.
Le mani ancora non rispondevano, ma per ora sentivo stesse tutto andando per un verso meno intollerabile.
Dovevo fare qualcosa, prima che quella mattinata andasse a finire a tragedia nel pomeriggio di Barbara D’Urso o peggio: da Massimo Giletti la stessa domenica pomeriggio!!
Potevo scegliere? Da un lato avevo la possibilità di bloccare l’inerzia che stava portando giù, sempre più giù il costrutto mentale che si stava fondendo con la realtà materiale intorno a me, tutti figli indigesti e senza affidamento legale della mia paranoia e della mia immaginazione (pure coppia omosessuale!). Dall’altro lato vedevo continuamente quella crociera portarsi via la mia ragazza e riportarmi indietro una donna cambiata, che voleva fare nuove avventure, che aveva fatto nuove avventure per mare, dove forse non considerava il tradimento reato essendo in acque internazionali, dove sentiva che la mia lontananza non era questo gran male, dove sentiva che come non aveva ancora visto la Tunisia fin’ora, non aveva neanche visto abbastanza dell’essere adolescente e fingersi emancipata e vedevo come unica soluzione il dubbio, la gelosia, la rabbia e il salvifico pezzo da novanta del set di coltelli in acciaio inox di mia madre… Volevo davvero la fine? Mi chiedevo perché le forze del grande universo pieno di stronzi e pezzi di merda peggiori di me si divertissero a rendere cosi bella e velenosa una dipendenza da farmene innamorare, rendermene schiavo per poi strapparmela da dentro e neanche degnarmi di una fine veloce e silenziosa? Forse quando cominciai ad analizzare questa domanda che feci a me stesso, capii di aver toccato il fondo e la riformulai: davvero sta succedendo tutto questo per una donna? Davvero tutto l’amore del mondo può rendere un essere umano così patetico e senza forza di esistere quando esistono esseri umani che passano le loro vite in capanne a curare malattie insensate in paesi che possiedono a malapena l’acqua corrente? La più codarda delle risposte fu un secco. Caddi di nuovo mentre cercavo di alzarmi sul bordo del letto da terra. Feci ciò che avrei dovuto fare dall’inizio di questo sprofondare. Cercai l’ultimo fiammifero dentro tutta la morte emotiva che stava mangiandosi le mie viscere e rischiai. Uscii dai miei tesseratti. Ripresi a forza il contatto con la realtà. La chiamai:

“Pronto?”
“Devi smettere di chiamarmi, maniaco!”

@ Kage

Oggi ho conosciuto Phil.

Oggi ho conosciuto Phil. E’ la voce, ma anche la chitarra e il basso se serve, di una band emergente americana. Lui, con suo cugino, per quanto la mia capacità intuitiva inglese mi abbia potuto aiutare, ha fondato questa band, che porta proprio il nome della loro “stirpe”. (The Sharrows si chiamano)
Abita ad una distanza moderata da Chicago.
Phil è biondo, e oggi aveva una camicia verde militare. E’ molto magro, e sembra molto più inglese piuttosto che americano.
Oggi ho conosciuto Phil. E’ entrato in classe, quasi spaventato, forse dalla nostra reazione, con il professore di inglese. Si è presentato in modo molto freddo e poco americano. Aveva con sé uno strumento musicale; non ne capisco molto di tecnica musicale, ma muoveva bene le dita in relazione alle corde. Lui suonava e noi gli davamo corda.
Scusatemela, ma se non scrivo una cazzata non mi sento io.
Phil viaggia ha detto, viaggia un sacco, ed è fidanzato con una donna che insegna al Liceo Musicale, affiliato al mio liceo. Credo sia abbastanza dura la relazione a distanza, soprattutto quando oltre ad essere il cuore quello confuso, è anche l’orario con-fuso.
Il clima, la lingua, la cultura, le pettinature, tutto.
Devo dire la verità, mi hanno sempre fatto divertire gli amori che si sviluppano su paralleli e meridiane diverse. Chissà cosa si dicono, cosa si scrivono, chissà se lei sta male quando lui fa un concerto, e lei non è sotto il palco. Chissà se lui è geloso quando lei fa lezione al liceo, e capita il cretino che fa apprezzamenti sulle sue gambe. Chissà se lo verrà mai a sapere.
E io che credevo fosse venuto per le Luci d’Artista. Magari se lo ritrovo nei corridoi, lo invito a visitare con me il giardino incantato.
Comunque Phil a primo impatto sembrava indifeso. Secondo me è un ventiquattrenne che straripa di cazzimma. Se ve lo presentassi, pensereste lo stesso dopo un’ora di chiacchiere.
Il professore ha introdotto, quasi come non avesse nient’altro da chiedergli, la questione dell’utilizzo del tutto “Free” delle armi in America.
Gli abbiamo anche chiesto se lui ne avesse mai avuto una, quasi sicuri della sua risposta negativa. Invece ha esordito con:
“Yes, I bought one, just for fun with a friend of mine. I shot just once, but I missed”.
Avrà anche mancato il barattolino, o non so a cosa stesse mirando, (forse all’amico) ma Phil mi rimarrà impresso, perché anche se con il silenziatore, sa sparare alla curiosità alle persone.
Oggi ho conosciuto Phil. Phil dal futuro, anzi dal Phuturo.
Pleased to meet you.

@ Pierframes

Monologo.

Mi hai chiesto molti perché ed io ho lasciato scivolarmi le domande sulla pelle, i sogni mi martellano gli occhi e quasi vorrebbero uscire, ma deboli fiamme accendono il mio sguardo e l’angelo, che mi poggiava la mano sulla spalla, ora è scappato per tornare poi e forse tornerà per riabbracciarmi; la memoria ora è un bambino che tira sassi nel mare dei miei pensieri. Un altro angelo mi avvolgerà nelle sue dolci vesti e poi volerà via aldilà dell oceano del mio sguardo e sfugge l’immagine d’ogni angelo, ma nel profondo dei miei occhi s’imprimono le sagome ed i colori.
Io non rispondo e fermo ti vedo stamparsi in faccia il dolore di un altro silenzio e vedi ora è il momento che tu voli, non mi riabbracciare ora è tempo di volare e non domandare più alcun perché a me, io che ho sbagliato quando decisi di volare, quant’è vero che un porto non può navigare ed è impossibile risponderti; ho dimenticato i sapori dei baci e l’odore dell amore; vola via da qui e non domandare più al mondo e a me, le risposte son già in te. Tornò a navigare alto nel cielo ed io porto attendo un altro e mille altri velieri con le loro vite ed io che torno a fantasticare nelle loro storie e nulla mi permette di volare, ma la vita m’ha voluto porto e so molto in generale e la vita mi scolpisce sognatore e la vita fa della mia essenza il mio immenso dolore.

@ Coda di Lupo

L’amore è una patologia.

Umore mio,
credo non sia una delle prime volte che ti scrivo, ma è una delle prima volte che pubblico tutto ciò che ho da dirti, tutte le scuse che ti porgo su un vassoio, con tanto di caviale e ossa rotte, e tutte le lacrime che asciugo con uno straccio di seta, che tanto straccio non è.
Conosco un solo modo per dirtelo, il nostro.
Attorciglio tra le mani quel capello impigliato nel bottone di legno, e inizio a giocarci. Immagina se avessi avuto i capelli così lunghi da farmi saltare la corda che non so saltare, o da farci un lazo per i cavalli che non ho, o da andarci addirittura a pesca sulla spiaggia che senza di te non voglio vedere.
Conosco un solo mondo da vivere, il nostro.

Cara ragione,
è un po’ di tempo che ti vedo strana, confusa, incoerente, quasi ammalata; non ho avuto il coraggio di dirtelo di persona.. anche perché, effettivamente, una persona non sei.
Ma il coraggio mi manca lo stesso, forse perché senza di te non so più fare le mie scelte, non so più riflettere sulle mie opzioni che ora come ora non sono più “Questo, quello e quest’altro”, ma soltanto “Lei, lei, lei”.
Lei.
Lei che, quando l’hai incontrata, ti ci sei subito innamorato.
Lei che, quando l’hai conosciuta, hai cominciato a dimenticare tutto il resto, anche di cambiare muta.
Lei che, una volta baciata, la tua vita l’hai quasi dimenticata.
Lei che, quando avete iniziato a litigare, ti sei resa conto che forse quella muta la dovevi cambiare.
Lei che, quando ti ha detto “Non voglio vederti, vai via”, ha dato inizio alla tua patologia.

Umore, ti sento stanco, affaticato, hai la voce pesante e sei molto debole; non ho chiamato il medico perché mi sono finiti i minuti sul cellulare, e sono sicuro che l’unica cosa che possa farti stare in questo modo sia l’amore, perché l’amore è una patologia, e chi non lo sa non è sano, ha soltanto un cuore cieco. Un cuore che si è costruito un muro spesso e forte come ai tempi delle crociate e di Cuor Di Leone.
In questo caso direi più Cuor di Talpa, perché è uno di quegli animali che nasce con una vista eccellente e cresce perdendola sempre di più, vivendo all’oscuro delle emozioni e della vita vera.
Non dubito sul fatto che tu conosca l’amore meglio di me, ma ti faccio solo un esempio, in Cina, le persone hanno talmente tanto bisogno di tenersi in contatto e avere un feedback di emozioni che a Chongqing è stato costruito il primo viale da percorrere esclusivamente con gli smartphones. Credi sia giusto che la gente continui ad ammalarsi e nessuno faccia qualcosa?

L'amore è una patologia

Ragione, mia cara, non voglio spaventarti, ma ho parlato con tanti amici e ho conosciuto tutti i loro umori, stanno molto peggio del mio, sai che mi hanno detto? In pratica, hanno perso le speranze!
Invece di fare come gli animali durante l’era glaciale, o come una madre in preda all’adolescenza del proprio figlio. L’hanno persa, ti rendi conto? L’amore è una patologia e qua nessuno sa curarla. Sai cosa servirebbe? Un corso di formazione che consiste nel portare un cucchiaio in bocca, che regge a sua volta un uovo. Il percorso non dev’essere ridotto né diverso a seconda delle persone. Tutti devono capire che cos’è l’equilibrio e quanto ci serve per non rompere i rapporti, i sogni e le uova. Qua il paniere è pieno e se si rompono le uova mandiamo tutto in frantumi, e tu, anzi noi, non possiamo permetterci di essere soltanto frantumi.
Dovrei essere fiero di me e del fatto che, al massimo, perdo le penne e i calzini.
Dovrei essere fiero di me e del fatto che mi candido per cautelare l’amore,
e per evitare che nulla possa toccare il fondo,
nemmeno le foglie amare,
nemmeno la sabbia del mare.

                                                                          @Pierframes ‘n @Egemonina